A settembre in Abruzzo è “tempo di migrare”. Quella della transumanza è una tradizione antica, che nei secoli ha segnato la storia e l’aspetto delle genti e delle terre abruzzesi.
Settembre è il mese della” transumanza” in cui i pastori ripartono per lo spostamento delle greggi verso sud, per cercare d’inverno pascoli non ghiacciati e climi più miti, percorrendo le vie naturali dei “tratturi”. A maggio, lo spostamento è di nuovo verso nord, per tornare a casa, alla ricerca di erbe montane appena spuntate dopo lo scioglimento delle nevi, su pascoli mantenuti verdeggianti dal clima delle montagne d’Abruzzo.
Dopo la via Francigena e il Cammino di Santiago, il “percorso dei tratturi”, le lunghe vie d’erba, un’autostrada d’erba che scende dalle montagne dell’Abruzzo, attraversa vallate, borghi e piccoli centri, fino ad arrivare nelle pianure di Foggia, nel Tavoliere della Puglia. Si chiama il “Tratturo Magno”, il piu’ grande tratturo per la transumanza delle greggi, lungo 244 chilometri che fino a cinquanta anni fa collegava l’Appennino alle Puglie. I pastori transumanti percorrevano queste antiche vie a piedi, in fila, uno dietro l’altro e ognuno col suo gregge, e la sera si stendevano sui prati tutti insieme, esposti al freddo e alla fatica, mangiavano pan cotto e ricotta con tanto vino che scaldava la strada e il cuore lontano da casa. Il cibo scarseggiava e si mangiava carne solo quando qualche pecora moriva per cause accidentali o azzannata dai lupi. Durante la notte mentre riposavano, erano soggetti a continui pericoli come furti di bestiame, assalti di lupi e morsi di serpenti e proprio per questo si narra che i pastori quando riposavano “dormivano con un occhio solo”, appunto per vigilare il bestiame. La vita del pastore non era facile, caratterizzata da privazioni e stenti. Quando in estate seguiva le greggi, era costretto a ripararsi per la notte in delle grotte che erano adibite anche a ricovero animale. Oppure quando non vi erano ripari naturali, costruiva rifugi in terra o in pietra o anche capanne a “tholos”, costruzioni dalla copertura a cupola a base circolare o quadrata.
Nel silenzio delle lunghe ore passate a fare la guardia al gregge, il pastore impiegava il tempo intagliando legno o scrivendo i propri pensieri incidendoli sulle rocce che incontrava lungo i tratturi. Soprattutto sulla Majella troviamo incisioni un po’ ovunque, in zone circoscritte, diventate oggi dei veri e propri santuari che testimoniano la vita pastorale dei transumanti.
Per questa loro condizione di vita, l‘invocazione della protezione divina, dava loro la forza necessaria per affrontare i rischi del viaggio e i sacrifici del mestiere. Infatti lungo i tratturi, durante i secoli, sono sorte numerose chiese che erano molto importanti non solo dal punto di vista spirituale, ma anche commerciale perché in prossimità di queste strutture, si svolgevano delle fiere per la commercializzazione di prodotto artigianali e gastronomici. Quando a maggio tornavano a casa, portavano nelle loro bisacce i doni per loro bambini e loro spose.
La transumanza segnava la vita dei pastori, ma anche quella delle loro mogli, che restavano sole nel periodo in cui in campagna c’era tanto da fare, con i campi da mietere, le patate da raccogliere e i legumi da battere. Donne forti, madri coraggio delle montagne abruzzesi, abituate alla fatica fisica che preparavano il necessario per i lunghi viaggi dei mariti pastori e badavano alla famiglia “da sole” per tutto il periodo della transumanza.
Oggi sono rimasti pochi i “pastori d’Abruzzo” e anche di quelle antiche vie erbose rimane ben poco. Pare che l’ultimo spostamento a piedi di pastori con le greggi sia avvenuto nel 1972. Questo mestiere antico, sacrificato e pieno di rinunce, non si rispecchia nelle nuove generazioni di oggi.
La storia del pastore transumante, oggi resta comunque viva nella quotidianità delle genti abruzzesi, non mediante spostamenti a piedi sui caratteristici tratturi, ma attraverso vere e proprie transumanze con grandi camion che trasportano ovini e bovini su strade asfaltate dalle piane pugliesi alle montagne abruzzesi. A maggio, arrivano centinaia di capi di bestiame stipati in questi grandi camion che vanno a riempire le montagne abruzzesi di colori, di suoni di campanacci, di cani maremmani abruzzesi che abbaiano e delle voci dei pastori che oggi ancora resistono.
Ancor oggi, il turista catturato da questo “antico quadro pastorale”, che lo riporta lontano anni luce dalla città, dal traffico e dal rumore, si ferma stupito al margine della strada a guardare le greggi, ad aspettare che i placidi animali, incuranti di macchine e moto, si tolgano dalla via.
Ad oggi la storia diventa presente grazie ad una nuova sensibilità verso il passato che sta coinvolgendo sempre più numerose persone, associazioni e istituzioni, affinché queste antiche testimonianze non cadano nell’oblio insieme al patrimonio storico e culturale che conservano e portano con sé negli anni.
Transumanza abruzzese