Sono 18 le perle più rare e uniche del cibo made in Abruzzo. Diciotto è esattamente il numero dei prodotti presìdi Slow Food abruzzesi. Si tratta di produzioni d’eccellenza della gastronomia, vere e proprie rarità di gusto che hanno sapori e valori nutrizionali di assoluto rilievo. I criteri di definizione e istituzione di un prodotto presidio Slow Food sono simili a quelli di certificazioni come IGP e DOP, ma con un disciplinare di produzione molto più rigido.
Vediamo quali sono
Canestrato di Castel del Monte
La cultura della transumanza e delle relative produzioni casearie appartiene alla storia dell’Abruzzo, ma è nell’area del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga che si trova la meta pastorale per eccellenza: Campo Imperatore, un altopiano a 1800 metri di quota, dove a maggio salgono ancora oggi migliaia e migliaia di pecore. Nella preparazione del formaggio, ogni allevatore segue una propria tecnica. In linea generale il latte è filtrato, riscaldato a 35-40°C per 15-25 minuti e addizionato con caglio naturale (ottenuto dallo stomaco di agnello). La cagliata è poi rotta fino alle dimensioni di un chicco di mais, cotta a 40°-45°C per 15 minuti circa (ma non da tutti), trasferita nelle fiscelle e pressata per favorire la fuoriuscita del siero residuo. Dopo la salatura, le forme sono collocate su tavole di legno in ambiente fresco e areato, le casere.
Cece di Navelli
I ceci di Navelli si caratterizzano per le piccole dimensioni, il colore crema e la superficie liscia, ma alcuni produttori conservano anche una seconda tipologia, ancora più piccola e di colore rosso ruggine, con superficie grinzosa. Storicamente, il bianco era destinato alla vendita e il rosso al consumo familiare.
Cipolla bianca di Fara Filiorum Petri
Detta anche piattona, la cipolla bianca di Fara Filiorum Petri ha forma piatta, colore bianco, sapore dolce e aromatico. Già nel 1300, i monaci del locale convento di Sant’Eufemia coltivavano nei loro orti una cipolla particolare. Nel tempo, questa varietà si è adattata perfettamente ai terreni argillosi del posto, al punto che i contadini di Fara erano indicati con l’appellativo di “cipollari”.
Fagioli di Paganica
Esistono due varietà (ecotipi) di fagiolo di Paganica: entrambe a ciclo lungo (dai 160 ai 180 giorni di coltivazione), con fiori bianchi e portamento rampicante, possono raggiungere i due metri se sostenuti con appositi pali in legno di salice. La differenza tra le due tipologie è il colore del seme: il fagiolo a pane (anche definito “ad olio”) è di colore beige tendente all’avana o al nocciola e ha un occhio centrale, mentre il fagiolo bianco (anche definito “a pisello”), è di colore bianco avorio ed è leggermente più tondo del precedente
Fagiolo tondino del Tavo
Il Tavo è un fiume abruzzese che nasce dalla vetta appenninica del Gran Sasso e scorre nell’area collinare tra lussureggianti vallate. I terreni di queste zone si sono rivelati ottimi per la coltivazione di una specifica varietà di legume, che prende il nome dal fiume e dalla sua forma sferica, il fagiolo tondino del Tavo. Piccolo e tondo come un pisello, di un candido colore madreperlaceo che va dal bianco latte all’avorio, il fagiolo tondino del Tavo ha ottime proprietà nutrizionali e una buccia sottilissima, che ne consente una cottura più rapida e una facile digestione.
Fico secco reale di Atessa
La città di Atessa ha una storia antica, che affonda le sue radici nell’epoca romana, e gli scavi archeologici hanno evidenziato il suo legame millenario con la coltivazione del fico. Il periodo di raccolta e di essiccazione, a seconda del clima, oscilla tra la metà di agosto e la fine di settembre. I fichi destinati alla essiccazione sono di varietà reale, a polpa bianca e a polpa rossa. Il fico reale è caratterizzato da forma leggermente sferica, buccia di colore giallo verdastro chiaro e polpa molto succosa di sapore mielato.
Grano solina dell’Appennino abruzzese
Si tratta di una varietà di frumento tenero molto antica: fonti storiche testimoniano la sua coltivazione in Abruzzo all’inizio del XVI secolo. È un grano caratteristico delle zone montane e marginali del Gran Sasso, specie la parte interna del massiccio sul versante aquilano, dove il freddo e le quote elevate permettono di ottenere un risultato qualitativo eccellente. In grado di resistere a lungo sotto la neve e al freddo intenso, può essere coltivato dai 600 ai 1400 metri e oltre
Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio
È piccola e molto saporita: una minuscola lenticchia di pochi millimetri di diametro, globosa e di colore scuro, marrone-violaceo. Cresce oltre i mille metri di altitudine solo sulle pendici del Gran Sasso, nei territori incontaminati del Parco Nazionale. Alcune coltivazioni si spingono fino a 1600 metri, ma è intorno ai 1200 che danno i risultati migliori. Per le loro piccolissime dimensioni e l’estrema permeabilità, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio non hanno bisogno di alcun ammollo preliminare.
Mieli dell’Appennino aquilano
Nell’areale del Gran Sasso, della Laga e del massiccio del Sirente Velino, tutti in provincia dell’Aquila, sono molto interessanti due mieli monofloreali ricavati dalle essenze più tipiche di queste montagne: la santoreggia e la stregonia. Il miele di santoreggia ha colore ambra chiaro, tendente al giallo verde quando è liquido e al grigio-verde se cristallizzato. Il miele di stregonia, invece, è caratterizzato da un colore molto chiaro, rimane liquido a lungo e ha un sentore lievemente floreale, che si percepisce anche in bocca.
Mortadella di Campotosto
È Campotosto, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, la patria delle omonime mortadelle, da sempre conosciute anche come “coglioni di mulo” (data la forma e la vendita a coppie). Ovoidali, legate a due a due con uno spago annodato a mano, sono prodotte con le stesse regole del passato, quando le famiglie del paese lavoravano insieme per produrre le mortadelle che venivano consumate a partire dalla Pasqua.
Oliva intosso di Casoli
Il particolare nome di questa varietà deriva dal fatto che, per poter essere mangiate, le olive dovevano essere addolcite, ovvero “ndosse, curate nel ranno e poi nell’acqua pura”. Le olive hanno frutto di forma ellittica con piccolo umbone (rilievo) apicale, dimensione media e un peso che oscilla intorno ai 3, 4 grammi. La tecnica di lavorazione delle olive da mensa, detta “sistema sivigliano”, prevede la fermentazione lattica: i frutti sono lavati diverse volte e poi posti a fermentare in una soluzione salina per una decina di giorni.
Patata turchesa
Turca, turchesa, o turchesca, così è definita, fin dal Settecento, la patata coltivata sulla montagna abruzzese, per sottolineare la sua origine straniera. Il nome, infatti, ricorda il granoturco, ovvero un prodotto che arriva da lontano, dal Nuovo Mondo. La patata turchesa ha una buccia viola intenso, ricca di sostanze antiossidanti. Al suo interno, la pasta è di colore bianco candido, ha un basso contenuto in acqua, consistenza e granulosità medie; caratteristiche che la rendono adatta a diversi usi e cotture.
Pecorino di Farindola
È un pecorino assolutamente originale, perché preparato (caso unico in Italia e forse nel mondo) utilizzando il caglio di maiale, che gli conferisce aroma e sapori particolari. Si produce ancora oggi in quantità limitatissime in una ristretta area del versante orientale del massiccio del Gran Sasso, in gran parte all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, e la sua produzione è prerogativa esclusiva delle donne, che si tramandano la ricetta di generazione in generazione.
Peperone dolce di Altino
Il piccolo paese di Altino, raccolto su uno sperone roccioso che domina la Valle dell’Aventino, dà il nome a piccoli peperoni a corno di colore rosso intenso, chiamati anche peperoni “a cocce capammonte” (a testa all’insù), perché il frutto è rivolto verso l’alto. Quando sono maturi, si raccolgono e si infilzano con un ago e dello spago all’altezza del peduncolo, in modo da creare una lunga collana chiamata “crollo”. Poi si lasciano essiccare all’aria per diversi giorni e, quando non c’è più traccia di umidità, si fanno tostare in forno per qualche minuto oppure si passano velocemente in olio bollente.
Salsiccia di fegato aquilana
La salsiccia di fegato, detta localmente cicolana, è un insaccato storico della provincia dell’Aquila, figlio di questa lunga tradizione. Si prepara prevalentemente con fegato, cuore e lingua di maiale e con l’aggiunta di un po’ di carne magra e grasso, sempre di suino. Un’ottima soluzione per impiegare tutte le parti dell’animale e per rendere appetitose anche le frattaglie e le parti meno nobili, grazie alla sapiente speziatura.
Salsicciotto frentano
Il salsicciotto frentano è un salume tradizionale dell’alta e media valle del Sangro e dell’Aventino, un’area collinare alle pendici orientali della Majella, lungo il corso del fiume Sangro, che va da Lanciano a Casoli fino a Montenerodomo I salsicciotti frentani sono insaccati di carne di maiale realizzati sostanzialmente con tagli magri pregiati: prosciutto, spalla, lombo e capocollo e la parte grassa non supera mai il 10-20% del totale. Le carni sono macinate a grana media e conciate con sale e pepe: l’unica spezia impiegata nella concia, in grani interi o spaccati.
Uva montonico
Fino agli anni Sessanta il montonico era ampiamente diffuso in Abruzzo, ma da quella data in poi la sua area di coltivazione è andata sempre più restringendosi e oggi rimane presente prevalentemente nella zona di Bisenti e Cermignano dove anche in passato ha avuto la maggiore estensione di coltivazione. Si è adattato bene nei secoli all’areale a ridosso del Gran Sasso, cresce ad un’altitudine che può superare anche i 500 metri sul livello del mare. È infatti un vitigno molto vigoroso, che grazie alle sue innate doti di adattamento ha trovato in queste zone la sua giusta identità. Il mosto che se ne ottiene è di colore giallo paglierino scarico tendente al verdognolo, fresco e floreale al naso.
Ventricina del Vastese
Per prepararla, un tempo, si usavano i maiali neri o rossi, oggi si acquistano le razze bianche più comuni e diffuse sul territorio. Macellata la bestia, si separano le parti più nobili (le cosce, il lombo e le spalle) che sono prima attentamente mondate, disossate e private delle parti più dure e fibrose (quelle aderenti alle ossa) e poi sezionate in piccoli pezzi di due o tre centimetri, che riposeranno per una notte. Si condiscono con sale e polvere di peperone dolce in uguale misura e in alcuni casi con finocchietto selvatico e una spruzzata di pepe. Si insacca l’impasto nella vescica di suino e si ottiene una palla di uno o due chili che sarà posta nella rete, legata a mano con lo spago e poi appesa ad asciugare in una stanza con un camino acceso da almeno sette, otto giorni. Dopo l’asciugatura la ventricina stagiona in un ambiente ventilato e fresco. A tre mesi si pulisce la superficie esterna dalle muffe e si ricopre con lo strutto, che protegge il salume da infiltrazioni di insetti e dagli sbalzi di temperatura.
Fonte Fondazione slow food