Tradizioni

San Leucio e il drago di Atessa, un culto della transumanza

San Leucio è una figura venerata in numerose località italiane, con un culto che si è diffuso capillarmente per mezzo di leggende e tradizioni popolari. La celebrazione di San Leucio ad Atessa l’11 gennaio è particolarmente significativa. Secondo la leggenda, San Leucio liberò la cittadina di Atessa da un drago che infestava la valle del Sangro. La leggenda vuole che il Santo uccise un feroce dragone che mieteva vittime e che impediva agli abitanti di due borghi, Ate e Tixa, di frequentarsi e riunirsi. L’uccisione del mostro tanto temuto portò alla riunificazione delle comunità stanziate sui due colli nel borgo di Atessa con un rito di festeggiamento collettivo, grazie anche alle guarigioni che il potere terapeutico del sangue del drago dispensava contro dolori articolari e affezioni renali. Il Santo donò una costola del feroce animale al popolo ad eterna memoria del miracoloso intervento e chiese alla popolazione di edificargli, come atto di devozione, un tempio sacro sui resti della grotta abitata dal drago.

credit: Marco Ramundo

La costola del drago, lunga circa due metri e venerata come reliquia nella cattedrale di Atessa, è un elemento centrale di questa leggenda. Prima di essere collocata in una teca di vetro nella stanza del Tesoro di San Leucio, la costola pendeva da una delle travi del soffitto della chiesa. Le ipotesi sulle sue reali origini variano: alcuni suggeriscono che possa provenire da un ossario di grandi dimensioni risalente all’epoca del passaggio di Pirro o di Annibale con gli elefanti in Abruzzo, ma più verosimilmente si tratta di un osso di Misticeto, un cetaceo del sottordine delle balenottere, risalente a milioni di anni fa, quando la val di Sangro era sommersa dal mare fino alle pendici del Monte Pallano e della Maiella. Oltre alla costola e al busto argenteo del Santo, il Tesoro di San Leucio custodisce un capolavoro dell’arte orafa abruzzese: l’ostensorio realizzato in argento e smalti da Nicola da Guardiagrele nel 1418 proprio per la chiesa di Atessa.

Ma come è arrivato il suo culto in Abruzzo?

Il culto di San Leucio ha avuto origine a Brindisi, dove il Santo rivestì per primo la carica di vescovo e dove morì tra il IV e il V secolo. La sua venerazione si diffuse rapidamente nelle città del ducato di Benevento e le sue reliquie furono traslate a Trani intorno al 680, dopo la conquista e il saccheggio di Brindisi da parte dei longobardi. A Trani, il culto si radicò, anche se oggi è quasi dimenticato, sopravvivendo solo nell’ipogeo dedicato al Santo sotto la magnifica Cattedrale.

Credit: Marco Ramundo

Dalla Puglia, il culto si estese attraverso le vie della transumanza verso l’Abruzzo e il Lazio. I pastori portavano le loro greggi lungo queste rotte, favorendo la diffusione della venerazione per San Leucio nelle regioni appenniniche. In particolare, a Rocca di Mezzo sull’Altopiano delle Rocche e a Villavallelonga nella Marsica, dove il culto risale almeno all’anno mille, consolidandosi con la costruzione di una chiesa dedicata al Santo. La venerazione dei pastori fu tale da spingere l’arcivescovo di Trani a donare loro una reliquia.  Fu così che nel 1778 un osso del dito di San Leucio lasciò Trani sotto la custodia dei pastori che tornavano nel luogo natio dopo la transumanza invernale.

Il culto di San Leucio è ancora vivo tra le comunità della Marsica, con celebrazioni annuali che coinvolgono sia residenti che emigrati, particolarmente nei mesi di luglio e agosto. La transumanza, un tempo pratica comune, ha giocato un ruolo cruciale nel mantenere viva la tradizione, con i pastori che prendevano parte ai festeggiamenti, tra Trani e i santuari dedicati al Santo lungo i tratturi. Tanto che a Rocca di Mezzo, tra i pastori, circolava il detto “chi a Ssa’ Levece n’era revenute u z’era morte u z’era perdute”: “chi a San Leucio non era tornato o era morto o si era perso”.

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