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Si riaccendono le Farchie di Fara Filiorum Petri

A Fara Filiorum Petri (La Fa in dialetto locale), centro alle porte del Parco Nazionale della Majella nella valle del fiume Foro, Sant’Antonio si festeggia a gennaio con le “farchie”.

Al tramonto del sole, il 16 gennaio di ogni anno, per la tradizionale festa di Sant’Antonio Abate si innalzano e si incendiano con dei mortaretti le sommità delle farchie, fasci cilindrici di canne legati con rami di salice rosso, di altezza massima di 10 metri. Come grandi torce, con fiamme che svolazzano in alto tingono il cielo di rosso fuoco regalando al pubblico uno spettacolo unico avvolto da una magica atmosfera.

Questa festa folcloristica trae origine dalla credenza che il Santo avrebbe protetto Fara dall’invasione delle truppe francesi nel 1799, incendiando le querce che circondavano il paese. All’epoca Fara era protetta da un grande querceto in cui apparve S. Antonio nelle vesti di un generale che intimò alle truppe francesi di fermarsi  e di non oltrepassare la selva. Al loro diniego trasformò gli alberi in immense fiamme che fecero battere in ritirata i soldati.

Ma le Farchie non sono solo folclore, sono qualcosa di più, di più profondo, dove assumono una importanza rilevante la collaborazione e lo spirito di comunità. Le Farchie si vivono notte e giorno per una settimana in ogni contrada del paese. Le aie, gli slarghi o le radure sono destinate alla loro preparazione anche se, per evitare che le canne si inumidiscano, vengono protette da stand o teloni.

La preparazione dura circa un anno: tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera si raccolgono le canne e si lasciano essiccare nell’attesa del nuovo anno; a dicembre poi i salici rossi vengono potati e i rami più grandi e giovani vengono raccolti per essere utilizzati per legare le canne con un nodo particolare, che richiede molta forza, fondamentale per garantire la bellezza e la stabilità del fascio. Le 15 contrade di Fara, già dai primi di gennaio, preparano ognuna la propria farchia e le donne, oltre ad assistere gli uomini, cucinano i piatti tipici della tradizione abruzzese. Tutta la festa è incentrata sull’ospitalità e quindi non si paga assolutamente nulla. Una volta completate, il 16 gennaio, vengono trasportate nella piazza antistante la chiesa di Sant’Antonio Abate con dei trattori decorati. Un suonatore di organetto detto anche “trevucette” si mette a cavallo della farchia mentre un tamburino si mette a capo del corteo; a fine percorso, i contradaioli la scaricano poggiandola sul suolo e al comando del capofarchia la innalzano e al tramonto viene accesa.

Alla fine dei festeggiamenti viene riconosciuta la farchia migliore. A detta dei partecipanti, la perfezione tecnica viene alla luce solo dopo che è stata innalzata. La verticalità, il giusto allineamento dei nodi, la corretta sistemazione delle canne per evitare rigonfiamenti o torsioni, sono i requisiti principali di giusta maestria nella costruzione della farchia, messi in relazione con le loro dimensioni.

Uno stornello dialettale ricorda con orgoglio i fatti del 1799, quando la piccola cittadina respinse l’assalto dell’esercito rivoluzionario che aveva già preso tutte le città circonvicine:

“La Huardie l’han brusciate
Ursogne svreugnate
La Fare tante strette
Ha ammazzate lu picchette”
(I Francesi hanno bruciato Guardiagrele, conquistato Orsogna senza combattere mentre Fara tanto piccola ha ucciso il picchetto.)

 

 

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